News

Dalla giurisprudenza in materia di comporto di malattia utili indicazioni sulle tutele dei lavoratori affetti da malattie croniche - Emanuele Dagnino

Dalla giurisprudenza in materia di comporto di malattia utili indicazioni sulle tutele dei lavoratori affetti da malattie croniche

Il perseguimento di una occupazione piena e produttiva e di un lavoro dignitoso per tutti (Obiettivo 8 dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile) trova ostacolo – oltre che nelle vicende che a diverso titolo incidono sulla crescita economica e nell’assenza di adeguate politiche di supporto – nelle specifiche esigenze relative all’impiego, alla conservazione o al reinserimento al lavoro dei soggetti vulnerabili. Tra questi, particolare rilevanza stanno assumendo in ragione dell’allungamento della vita, anche lavorativa, i lavoratori affetti da malattie croniche, destinatari nell’ordinamento interno di un quadro normativo frammentario e di difficile ricostruzione.

Alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali, però, forniscono importanti indicazioni con riferimento ad un aspetto di estrema rilevanza: quello della riconducibilità della condizione di lavoratore affetto da malattia cronica alla nozione di disabilità ai fini dell’applicazione delle tutele in materia antidiscriminatoria. Grazie al dialogo con la giurisprudenza euro-unitaria si è andato formando negli ultimi anni un consolidato orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto l’applicazione della disciplina contro le discriminazioni a lavoratori affetti da malattia cronica.

Tale orientamento si è sviluppato, in maniera particolarmente rilevante, a margine di una intensa querellegiurisprudenziale che sta interessando le corti di merito in relazione alla natura indirettamente discriminatoria della previsione da parte della contrattazione collettiva di un medesimo periodo di comportoper lavoratori disabili e non disabili (sul punto si veda, amplius, E. Dagnino, Comporto, disabilità e disclosure: note a margine di una querelle giurisprudenziale, in corso di pubblicazione su Argomenti di diritto del lavoro).

La circostanza non è casuale: tanto il filone giurisprudenziale relativo al licenziamento per superamento del periodo di comporto quanto l’interpretazione estesa della nozione di disabilità ai fini dell’applicazione della tutela antidiscriminatoria prendono avvio da alcuni importanti principi di diritto affermati dalla sentenza HK Danmark dell’11 aprile 2013, poi ripresi dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Quanto al primo profilo – potenziale discriminatorietà di soglie d’assenza per malattia fissate in maniera uniforme per lavoratori disabili e non – la sentenza, poi ripresa dalla Ruiz Conejero del 18 gennaio 2018 in un caso ancor più affine, riconosce che «rispetto ad un lavoratore non disabile un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di una malattia collegata al suo handicap» e, pertanto, lo stesso «corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia», con la conseguenza che l’applicazione di una medesima soglia configura una discriminazione indiretta ai sensi della direttiva salvo che la disposizione «persegua un obiettivo legittimo e […] non vada al di là di quanto necessario per conseguire tale obiettivo».

Passando ora al profilo di specifico interesse, la stessa sentenza – innovando sui precedenti della stessa Corte – statuisce che la nozione di handicap rilevante ai fini della tutela antidiscriminatoria «deve essere interpretata nel senso che essa include una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata»

L’affermazione di tali principi di diritto da parte della CGUE ha dato abbrivio alla prassi della impugnazione dei licenziamenti per superamento del periodo di comporto laddove il lavoratore abbia modo di sostenere, secondo il particolare regime probatorio, che almeno parte delle giornate di malattia che hanno portato al superamento del periodo di comporto siano conseguenza della sua condizione di disabilità. Se il filone giurisprudenziale formatosi a seguito di tale giurisprudenza della CGUE si caratterizza per una rilevante spaccatura tra l’orientamento maggioritario, che riconosce l’indiretta discriminatorietà delle disposizioni contrattual-collettive, e quello minoritario volto a negarla, trasversale e pressocché unanime (contra App. Venezia 21 dicembre 2022, Pres. Alessio) all’interno dello stesso filone risulta essere la riconduzionedelle condizioni dei lavoratori affetti da malattia cronica sottoposte al giudizio delle corti alla nozione di disabilità, in applicazione della richiamata nozione di disabilità, frutto di una interpretazione aderente alla Convenzione ONU del 2006 ratificata dall’Unione Europea.
Sono così state riconosciute come malattie croniche comportanti una disabilità del lavoratore diverse patologie a carattere cronico, tra cui: flebolinfodema, gonoartrosi, coxartrosi, diabete mellito, sarcoidosi, ipertensione arteriosa, endometriosi intestinale.

Questo, ed è importante rimarcarlo, a prescindere dal fatto che l’accertamento della disabilità fosse effettuato formalmente da parte dell’Ente previdenziale, in ragione della rilevanza oggettiva della condizione di disabilità ai fini dell’applicazione delle tutele antidiscriminatorie. Specularmente, si è peraltro rilevato che l’eventuale formale accertamento della invalidità ai fini dell’applicazione delle normative in materia di avviamento al lavoro o della disabilità ai sensi della l. n. 104/1992, non possa essere considerato dirimente per la riconduzione della condizione del malato cronico a disabilità. In virtù della nozione bio-psico-sociale di disabilità sopra richiamata occorre, infatti, verificare se una effettiva compressione della possibilità di partecipare pienamente alla vita lavorativa e professionale sia determinata nel caso concreto dalla interazione tra le condizioni soggettive del lavoratore e le eventuali barriere poste dalle condizioni di contesto.

Le implicazioni sistematiche del consolidarsi di tale orientamento oltrepassano con tutta evidenza i limitati confini del licenziamento per superamento del periodo di comporto, e interessano, tra gli altri profili, l’applicazione degli accomodamenti ragionevoli, vero architrave del sistema di tutele approntato dal legislatore euro-unitario e da quello interno per garantire la partecipazione dei lavoratori disabili al mercato del lavoro su basi di uguaglianza.

Di seguito un elenco, in aggiornamento, delle sentenze rilevanti:

Trib. Pavia 16 marzo 2021, n. 876

App. Genova 21 luglio 2021, n. 211

Trib. Mantova, 22 settembre 2021, est. Gerola

Trib. Venezia 7 dicembre 2021, n. 6273

Trib. Vicenza 27 aprile 2022, n. 181

Trib. Milano 2 maggio 2022, est. Tosoni

Trib. Milano 18 maggio 2022, est. Moglia

Trib. Lecco 26 giugno 2022, est. Trovò

Trib. Milano 26 luglio 2022, est. Saioni

App. Milano 7 dicembre 2022, Pres. Mantovani

App. Venezia 21 dicembre 2022, Pres. Alessio

 

App. Napoli 17 gennaio 2023, n. 168

 

Indietro